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martedì 11 settembre 2012

Trail del Golfo dei Poeti






















“Fai quello che sei capace, sei qui per questo, fallo meglio che puoi” “Fai quello che sei capace, sei qui per questo, fallo meglio che puoi” “Fai quello che sei capace, sei qui per questo, fallo meglio che puoi” … una litania, un mantra che recito puntualmente, a volte a bassa voce, a volte solo nella testa, prima di una gara. E questa gara non ha fatto eccezione.
La discesa al centro della mia essenza richiede qualche minuto di concentrazione, poi le porte si spalancano con un fragore, silenzioso e assordante allo stesso tempo e ciò che mi circonda perde i confini della nitidezza, tutto rimane sfocato, confuso; solo la strada diventa chiara, solo i miei obiettivi prendono significato. Questa volta ho sottovalutato la prova. Me ne rendo conto dopo poche centinaia di metri, capisco subito che la mia partenza brillante, in testa, con un bel passo è solo il preludio ad una sofferenza totale, che mi accompagnerà per più di 21 chilometri.
Il percorso si descrive in due parole: salita e scale. Non ricordo altro, i passaggi nel sottobosco, le corse sul ciglio di strapiombi, su sentieri larghi 30 centimetri, sono invenzioni della mia mente, per staccare da quello che sto provando. Salita, ripida, esposta al sole, una pietraia infuocata; e scale, chilometri e chilometri di scale, mai vista una cosa del genere, mai pensata, nemmeno negli incubi più cupi.
Una ascesa dagli inferi. Non credo possa esistere altra definizione per questo percorso. Un incendio indomabile manda a fuoco le mie gambe, la mia volontà accenna a piegarsi sotto l’impeto della fatica, Finnico urla, sento una pesantissima palpebra calare sulla mia efficienza muscolare, perdo di qualità, rimango ancorato al salvagente che mi manda una piccola parte della mia testa: “tieni il tuo ritmo, respira, tieni il tuo ritmo, respira, fai quello che sei capace, sei qui per questo, fallo meglio che puoi” un brivido bollente arriva dritto al cuore. Reagisco, affronto la battaglia a viso aperto, consapevole dei miei mezzi, ma deciso fino in fondo a non mollare. Corro per vincere, di lì non si scappa, e questa convinzione, comunque, mi accompagnerà per tutta la gara, se non sarò il primo al traguardo, dovrò tenere botta fino alla fine, dare tutto il possibile, stringere i denti. La soddisfazione di aver lottato è la più grande delle vittorie.
I pensieri si susseguono in testa, rapidi come lo scorrere dei minuti e pesanti come i passi sul selciato, le gambe fanno male, si prospetta una corsa sopra le due ore e non era stato messo in preventivo. La resistenza si sposta dalla sfera fisica a quella mentale, lo sforzo diventa talmente globale che ad un certo punto mi fa quasi piacere, cerco le salite e le affronto con caparbietà, in discesa rifiato il possibile, cerco di ascoltare il mio corpo il più possibile, per captare in anticipo qualche segnale di cedimento. Non ce ne saranno. Finnico tiene all’erta la mia parte animale, che si fonde nella natura circostante in un abbraccio primitivo, i sensi si acuiscono e mi permettono di mettere a fuoco solo il necessario. Respiro a pieni polmoni e, nonostante la stanchezza, avverto nuovo vigore in me. La discesa che porta alla fine del percorso è la stessa salita che ho affrontato all’inizio. Nella mia euforia selvaggia del momento non la riconosco nemmeno, mi lascio portare all’asfalto, poche centinaia di metri mi separano dalla fine.
La sensazione di libertà che pervade il mio spirito sul rettilineo conclusivo non si può descrivere. Cerco con lo sguardo, cerco di dare un volto alle voci che sento. Marina e Paride si meriterebbero di più di un semplice saluto, ma in questi ultimi metri di corsa è l’unica cosa che posso fare. Taglio il traguardo e mi sento vivo come non mai, nonostante i dolori, nonostante la stanchezza.
Non correrò mai più un Trail. Queste le mie prime parole. A mente fredda non mi sento di smentirle, ma nemmeno di confermarle. La fatica provata mi ha purificato, un sacrificio essenziale per essere pronto ad affrontare quello che mi aspetta. Forse il fato ha scelto questa prova per me. Credo di esserne stato degno.
Una volta sulla lavagna in palestra scrissi: “ogni meta raggiunta è il punto di partenza  per un nuovo viaggio” o qualcosa del genere, non ricordo. Quello che conta è che raggiunto un obiettivo non bisogna fermarsi, ma provare ad andare oltre, a fare un passo avanti. Questo è quello che ho imparato. Questo è quello che voglio insegnare.
Non smetterò mai di ringraziare le due persone che, in silenzio, ma facendo urlare i loro sguardi, mi accompagnano in questo viaggio, sia sportivo che di vita, sostenendomi, criticandomi ma volendomi sempre bene. Spero di riuscire, almeno in parte, a restituire quello che ricevo da Marina e di essere un buon esempio per Paride.
Abbraccio forte amici, familiari, conoscenti, insomma tutti coloro che attraverso il blog e fb leggono le mie storie e lasciano un piccolo segno, dimostrandomi affetto e comprensione. Vi sono vicino in un modo che non potete pensare, e siete molto importanti per me.
Un ringraziamento speciale, per aver condiviso questa avventura, va a Simone e Giorgia. Se le cose sono andate come dovevano il merito è anche loro. Sono stati eccezionali compagni di vacanza e Simone è stato molto bravo.
Grazie.
Federico Saccani

3 commenti:

  1. Sai tutto, l'hai vissuto in prima persona, aggiungo solo che ti ringrazio per tutto, che sono sicuro capiteranno altre occasioni ( il fisico inizia a richiedere di correre, nn si sà come e dove, ma anche Salomon è nello zaino pronto a ripartire :))un abbraccio...grande esperienza!

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  2. L'impegno profondo per un sogno non imprigiona né condiziona: esso libera. Persino un cammino tortuoso e difficile può condurre alla meta, purché non sia mai abbandonato. - Maktub -
    ....ti sta a pennello! ;)

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