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venerdì 31 agosto 2012

Spiriti


 


Alzarsi presto alla mattina non mi ha mai creato problemi, anzi. Il passare degli anni lascia un segno anche qui, butterei la sveglia dalla finestra, quelle immonde cifre rosso acceso che indicano 5:03 mi rimangono impresse a fuoco nella mente fino a che non raggiungo il bagno. L’acqua gelida spegne l’incendio cremisi che mi ha dilaniato pochi minuti prima, mi muovo come un automa, riscopro movimenti e gesti, ripetuti per anni, che sono anni che non ripeto più, ma rimangono fluidi, in rapida successione mi conducono al momento sacro della vestizione, come un cavaliere che indossa l’armatura prima di uno scontro. Quanto tempo è passato? Sembrano secoli dall’ultima corsa a digiuno, dall’ultima corsa prima dell’alba. Ma questa è un’occasione importante, oggi si prova un’impresa.
Mentre aggiusto la chiusura delle scarpe mi accorgo di non percepire alcun rumore, il silenzio è totale, i cani non mi degnano di uno sguardo e continuano a dormire profondamente. Una volta capito che non sono loro le vittime della mia follia mattutina si lasciano avvolgere dal caldo abbraccio dei loro cuscini, abbandonandosi profondamente a Morfeo. Chissà cosa sognano? Mi chiedo mentre riempio il CamelBak con dell’acqua. Non faccio tempo a rispondermi che un tuono scuote la mia coscienza. Bene… devo correre in salita, al buio, a digiuno e potrebbe piovere. La giornata parte con i migliori auspici. Almeno non soffrirò il caldo.
Esco in silenzio, respiro l’aria frizzante del mattino a pieni polmoni, quasi volessi farne scorta per i momenti successivi e decido di partire, così, senza troppo riscaldamento, senza troppe preoccupazioni. I primi passi sono morse che sgretolano le cosce, ne ero già consapevole, me lo aspettavo, ma nonostante ciò è fastidioso comunque; non dura, però, nemmeno il tempo di preoccuparsene che già l’emozione del movimento contagia ogni mia cellula e baldanzoso mi avvio verso l’agognata salita.
Una decina di chilometri di ascesa infernale, da solo con i miei pensieri, con il mio alter ego brutale (Finnico), con un po’ d’acqua nello zaino; un rituale di purificazione che passa da una severa punizione corporale.
I passi sono sicuri, comincio a sudare nonostante il fresco, comincio a respirare più corto, più veloce, il cuore accelera il suo battito e come un rullante della batteria prova a scandire il ritmo della mia corsa. I ruggiti del mio corpo sono un misto di dolore e eccitazione, di sofferenza e gioia, il tempo inesorabile avanza e con lui avanza anche la mia scalata, un passo dopo l’altro, fino alla fine, fino alla cima. Bevo poco, quasi più per convincermi della mia presenza che per vera e propria sete. Sento dei passi, veloci e potenti; passi che scuotono l’asfalto, mi volto ma non vedo nessuno. Scrollo il capo, sarà la deplezione di zuccheri, mi dico, sento Finnico tranquillo e non mi preoccupo quando… ancora passi, ancora veloci, ancora potenti. Sento il cuore accelerare, il sudore, copioso dalla fronte, diventa una cascata ghiacciata. Il mio istinto mi suggerisce di stare tranquillo, il mio raziocinio mi dice di avere paura. Strano. Paradossale anche questo.
Continuo la corsa, manca poco, la strada la conosco. Posso farcela. Provo ad aumentare il ritmo quando ombre fatue si affiancano alla mia. Questa volta non devo neanche voltarmi per capire che non c’è nessuno. Sono sbigottito, frastornato, ma continuo a correre, è l’unica cosa che posso fare. Sento respiri affannati che si confondono col mio, battiti di cuore che si confondono col mio, mi rendo conto di non essere solo, anche se chi mi accompagna non è “materialmente” lì con me. Cerco di aprire tutti i miei sensi e di immergermi in ciò che mi circonda, lascio libero Finnico, ho bisogno della sua bestialità adesso, mi offro completamente alla natura e agli spiriti che la abitano. Gli spiriti che mi hanno concesso l’onore di correre insieme a loro. A questo punto la sensazione di libertà è assoluta, Non ho più vincoli, sono più animale che uomo, un lupo selvaggio che si lascia travolgere dall’immensa energia che lo abbraccia e lo sostiene. Mi perdo, ancora consapevole di me stesso, ma incerto sul fatto di esistere. Sono nel qui e ora, perfetto in ogni movimento, libero come mai prima, vivo. Vivo!
Le gocce di pioggia iniziano a cadere violente, grandi, fanno quasi male a contatto sulla pelle. Mi riportano in un istante, durato un infinito, alla realtà. Il pensiero mi porta subito a guardarmi le braccia, l’orologio, forse in cerca di un pallido barlume di vita reale. Bevo un sorso e con pochi agili passi raggiungo la vetta. Distendo le braccia verso l’alto, gli indici protesi al cielo, ma non è un segno di vittoria, è il ringraziamento a tutto ciò che mi circonda. Alle nubi plumbee, alle gocce di pioggia, alla natura incontaminata. 
Inizio la discesa, corro piano per paura di scivolare, ma anche per regalarmi qualche minuto in più per pensare a quanto accaduto. Urlo di gioia. Un urlo che ricorda un ululato. Entro pochi giorni dovrò prendere la mia decisione. Ne ho parlato qualche giorno fa. Una decisione di quelle che cambia la vita. Ci penso e sorrido, mentre un brivido percorrendo tutta la schiena arriva alle gambe. Martedi 04/09 deciderò.
Urlo di gioia. Un urlo che sembra sempre più un ululato…

Federico Saccani

mercoledì 29 agosto 2012

Mettersi in gioco


Parto da una frase e cercherò di elaborare un concetto. Spero di riuscire; la frase è molto particolare, racchiude in sé la raffinatezza e il “non-sense” Zen che tanto mi piace, che tanto mi attira:
- una lumaca iniziò ad arrampicarsi sul tronco di un ciliegio in una bella giornata di primavera. I passeri di un albero vicino la schernivano: “ehi stupida! Non lo vedi che non ci sono ciliegie su quest’albero?”. L’animaletto, seguitando ad arrampicarsi, replicò: “beh, ce ne saranno quando arriverò lassù!”-

Alla soglia dei 39 anni sento che la mia sete di sfide, o meglio di prove cui sottopormi, sfida è un termine improprio in questo caso, non si è ancora sopita. Mi sento tanto vicino alla lumaca, e cerco di continuare ad arrampicarmi sull’albero, metafora splendidamente riuscita della vita. L’albero della vita. Mi è stato insegnato, o meglio mi è stato suggerito che “costanza e determinazione ti renderanno forte come l’acciaio”, il mio Maestro mi ha lasciato queste parole anni fa, parole che comincio a comprendere nel loro vero significato solo ora, parole che aprono orizzonti, imponendo impegno e coraggio, ma regalando immani soddisfazioni.
Sono ad un passo da una scelta, talmente importante  che andrà a condizionare inevitabilmente non solo la mia vita, ma quella dei miei famigliari, quella di Stile Libero e probabilmente anche quella di Run&Motion, quindi ci sono un bel po’ di cuori pulsanti in ballo. Il desiderio di provare è enorme, che dico enorme, è una tentazione devastante come un magnete potentissimo dal quale mi sento attirato con una forza immane. Per ora oppongo una pallida resistenza, ci sono alcuni particolari che mi fanno tentennare; decisivi? Non lo so, non credo, difficile trovare qualcosa di decisivo, magari! Sono combattuto tra l’egoistica voglia di rimettermi in gioco e di sentirmi migliore e la razionalità dell’uomo normale e di quegli stupidi proverbi che ti insegnano da bambino a catechismo (credo…) tipo “chi si accontenta gode…” bah! Come si può riuscire a godere di qualcosa semplicemente accontentandosi? Qui non si parla di beni materiali, qui ci sono in gioco le emozioni… e di quelle non ci si accontenta. Mai.
Tutto ciò che mi mette all’opera lo faccio per migliorare, nel lavoro, nello sport, nella vita, insomma. Cerco di essere migliore. Non il migliore, sottile, ma importante differenza. Wolverine diceva “I’m the best at what I do – sono il migliore in ciò che faccio”, bellissimo se inteso nel senso di: “mi impegno a tal punto da essere sempre soddisfatto di me”; così anche io voglio essere il migliore; non parto per arrivare ultimo, questo è sicuro.
Evidentemente mi metto in gioco per vincere, è una mia caratteristica, anche quando sono consapevole che non è possibile, cerco comunque di dare tutto. Ma non è il desiderio di primeggiare, ma quello di sentirsi persona migliore. L’altro giorno, mio cugino ha postato una frase dove, sinteticamente, si diceva di come sia importante rendere se stessi e gli altri migliori. Bene, il concetto è proprio quello; migliorasi per migliorare. Non è fantastico? Credo di si. E forse sono solo un folle sognatore che crede alle favole, come sostiene qualcuno, ma non importa, vorrei che il messaggio passasse comunque, a coloro che frequentano la palestra, ai ragazzi che vengono a correre a chi legge ciò che scrivo: mettere il massimo impegno in ciò che si fa, giocare per vincere, con la consapevolezza che la vittoria non è il risultato importante, anzi, ma sentirsi persone migliori è quello che conta. Sentirsi lumachina che con pazienza, coraggio, fatica e voglia di fare, si arrampica su questo meraviglioso, entusiasmante, difficile albero che è la vita. Mettendosi alla prova. Non esiste nulla di più eccitante, inebriante, sconvolgente che mettersi in gioco, ripartendo da zero, o quasi, mescolando le carte, rendendo l’arrampicata forse un po’ più ardua, ma senz’altro più piacevole.
Deciderò entro pochi giorni. Fremo. Sento il sangue ribollire solo al pensiero. Come se si svegliasse un istinto arcaico, primitivo che la fiacca e pacata modernità ha sopito per lungo tempo.
Deciderò entro pochi giorni…

giovedì 23 agosto 2012

Mutaforma




Ad essere sincero i mette male scriverne. Soprattutto perché ci credo poco anche io. O meglio, ci credo perché l’ho vissuto, ma è una cosa talmente pazzesca, talmente fuori dal normale, da dubitare di me stesso.
Ma partiamo con ordine.
Il pezzo che ho scritto settimana scorsa, “La Grande Visione” è la giusta introduzione a quello che sto per raccontarvi. Chiedo solo un minimo di apertura mentale, di non liquidare tutto alla prima riga come “fantasia”, ma di provare a leggere con il cuore prima che con gli occhi. Anche questa è una storia vera…
La nottata è stata un inferno, calda, appiccicosa, umida, rumorosa, fastidiosa, ma soprattutto poco riposante. Non un grosso problema se non che, per questa mattina, avevo in programma di fare un bel giro di corsa, bello lungo, con tanta salita, su strade poco battute dal traffico, con lo zainetto per l’acqua, il famoso CamelBak sul dorso, in completa solitudine, io e la mia entità oscura, Finnico, l’essere che vive dentro di me e ogni tanto, soprattutto in situazioni di fatica o tensione, prende il possesso delle mie facoltà.
Comunque, nonostante il senso di torpore che mi attanagliava appena sveglio, ho deciso che avrei corso. Ho scelto un itinerario duro, ma che mi piace molto, t-shirt rossa aderente, zainetto e via.
Il primo pezzo di strada, pochi chilometri, saranno l’unico momento noioso,attraversare il tratto di Aurelia, per arrivare in via Calvisio, poi sarà sempre più solitudine. La corsa è fluida, sento il caldo, quasi opprimente, ma non lo patisco, sono ben idratato, mi sento forte, il passo è sicuro. Nell’abitato di Calvisio, attraversando le ultime case, mi rendo conto di correre forte, incontro tre amici in MTB, mi superano, ci auguriamo un buon allenamento, sento Finnico fremere, ma non capisco il perché, supero un paio di podisti, e un signore con due bellissimi cani. Le bestie mi guardano con l’aria di coloro che sanno qualcosa , non ci faccio però troppo caso. Saluto l’uomo che mi dice: “se in salita corri così, in discesa come vai?” sorrido, faccio un verso ai cani, ma ormai Finnico, inspiegabilmente ha già preso il sopravvento. Me ne accorgo perché i sensi sono acuiti, le gambe aumentano di volume, le vene delle braccia diventano ancora più evidenti, ma soprattutto la velocità aumenta.
Sono quasi a Cornei, con la strada sempre in salita, quando raggiungo i tre ragazzi in MTB, Finnico lascia un briciolo di coscienza per scambiare due parole, mi dicono che sto andando forte, li invito alla conferenza del 23 settembre, devono spingere per stare al passo. Ci salutiamo, questa volta definitivamente, perché io svolto in direzione Boragni. Ecco la mia prova: quasi quattro chilometri di salita vera, con ottime pendenze e la quasi certezza di non incontrare nessuno. Chiudo gli occhi, solo un paio di secondi, prima di iniziare la scalata, un rito che mi concedo sempre, apro completamente la mia coscienza a Finnico e diventiamo tutt’uno. Si comincia. E’ più dura di come mi ricordavo e io l’ho presa un po’ allegra… un sorso d’acqua, accorcio il passo, respiro profondo e recupero il piccolo affanno. Mi sembra, adesso, di volare, supero l’abitato (tre case…) di Boragni e sono sempre solo, supero l’agriturismo Ca’ Magli, dove incontro due anziani seduti su una panchina, un cenno del capo per salutare, ma vedo che non mi considerano. Meglio così. Ho ancora parecchia strada. Le pendenze si fanno leggermente più dolci, tranne che nei tornanti, però adesso si può correre bene, quando, improvvisamente, sento Finnico che si ritira, quasi timoroso, quasi spaventato, sento un rumore nel sottobosco alla mia sinistra, alzo lo sguardo e… incredibile, su un ramo rivedo il falco. Proprio lui, quello dell’altra volta. Come faccio ad essere sicuro che sia lo stesso? Insomma, sono tutti uguali, mi dico. Ma una parte di me, mentre sto formulando la domanda, ha già la risposta. Sento che è lui. Mi aspetta, mi guarda e di colpo tutto perde senso, per qualche secondo i colori si sfuocano, i rumori si attutiscono, la fatica sparisce… non riesco a spiegarlo, tutto ciò che sembrava impossibile, ora riesce. Sento ogni piccolo rumore, vedo ogni piccolo particolare, il topolino che si muove nel fogliame, gli uccellini che saltellano sui rami di quella quercia nascosta, lo scoiattolo che corre sul troco cavo, e l’aria, l’ aria che mi sferza la faccia violenta, ma soprattutto quel senso di onnipotenza che solo il volo ti può regalare. La mia coscienza combatte, ma non ho lucidità, non ho raziocinio. Sono solo istinto, sento gli artigli ghermire le prede, sento il becco dilaniare la carne, sento un verso selvaggio uscire dalla mia bocca. Guardo in basso, vedo un individuo con una maglietta rossa e uno zainetto correre con un buon passo sulla mia stessa strada, chissà se anche lui si sente libero come me, chissà se anche lui ha un nido da proteggere. Ce l’ha. Non so il perché, ma sono sicuro che ce l’ha.
Un rumore indistinto, una volta, due, mi volto è il clacson di una macchina, la strada è stretta e sono un po’ in mezzo alla carreggiata, faccio un cenno di scusa con la mano, ma ormai sono in cima, ecco la chiesa di Orco. La mia maglietta rossa è sudatissima, bevo avidamente un paio di lunghi sorsi dal mio zainetto e… sono un po’ confuso. Mi volto, guardo in cielo, non ne capisco il motivo, sento un ramo muoversi e uno sbattere di ali. Mentre mi accingo ad affrontare gli otto chilometri rimanenti un sorriso appena accennato piega le mie labbra. Sento la presenza di Finnico che ruggisce, lo lascio fare. Torno al mio nido…

mercoledì 22 agosto 2012

Piccolo pensiero

Oggi, Ombra, il mio pensiero è tutto per te.

Sono 8 anni che siamo insieme e mi sorprendo ancora a guardare con intensità i tuoi occhi, di una profondità infinita, di una sconcertante animalesca umanità; la tua grazia nel correre e nell’accoccolarti vicino alle mie gambe; la tua selvaggia determinazione nel ringhiare, profondo e gutturale, a chiunque mi si avvicini. Sono 8 anni e sembra ieri. Ogg
i, nell’accarezzare il tuo muso ho visto che i peli bianchi, segno inequivocabile del tempo che inesorabile avanza, sono aumentati parecchio. Devo dire che mi sono commosso, rattristato; ti ho vista invecchiata, quantomeno nell’aspetto e mi hai fatto tenerezza. Tu, sembrava capissi; mi hai guardato, hai ancora una volta messo a nudo la mia anima e i miei sentimenti, ti sei seduta vicino a me, come abbiamo sempre fatto, la mia mano sulla tua testa, le tue zampe sui miei piedi. Poi, come al solito, come un cucciolo di pochi mesi, la tua energia impazzita è scaturita in un lampo, salti, corse, abbai. Adesso che finalmente hai il tuo giardino, la tua terra per poter scorazzare libera, senza bisogno del guinzaglio, senza incontrare quegli esseri umani che tanto detesti, che tanto, giustamente, ti fanno paura, puoi essere finalmente, fieramente te stessa. Capisco che sopportare la nuova arrivata, la tua sorella acquisita, che da poco più di un anno “infesta le tue giornate” può non essere semplice; è giovane, irruenta, forte, sicura di sé. Ma tu con la tua signorilità innata hai saputo superare anche questa, ogni tanto ti fai da parte, ogni tanto combatti, ci giochi insieme, ti ritiri nella tua cuccia a riposare e lasci a lei il compito di fare disastri. Sei una parte del mio cuore e lo sarai per sempre, sei una parte della mia vita, e la vita non si può cancellare, sei la mia Ombra fedele, e quello che mi dai non si può ricompensare. Adesso ti sgrido perché stai abbaiando e non c’è motivo, ma ti voglio bene.

sabato 18 agosto 2012

La Grande Visione



 





LA GRANDE VISIONE

Racconto quello che mi è successo ieri correndo. Una storia vera.
Prima, però, è necessario un brevissimo preambolo…

Per un Lakota (tribù appartenente agli Oglala Sioux, abitanti nell’odierno Sud Dakota, nel nord degli USA), la Grande Visione “Wakanya Wowayanke” era il momento supremo della sua vita spirituale, l’attimo nel quale  Terra e Cielo, corpo e spirito, sogno e veglia  si congiungevano nella rivelazione  unica e privata del mistero. Raggiungere la visione era un processo faticoso, fisicamente durissimo; erano necessari lunghi tempi di preparazione spirituale, sotto la guida degli sciamani (wichasa wakan) che tracciavano il percorso e la interpretavano.
In genere ci si allontanava dal villaggio, in solitudine, a pregare, a digiuno, aspettando la comparsa di un segno rivelatore, forse un animale, che avrebbe parlato o mostrato la via. Il Grande Spirito avrebbe svelato il disegno che aveva in mente.

… Sto correndo, il caldo è opprimente, la strada è dura. Durissima. Ho già percorso parecchi chilometri, è molto che corro, sono sulla via che da Calice conduce a Ca’ del Moro, passando per Eze. Una salita impegnativa, esposta al sole, ma non impossibile che sto patendo più del dovuto; e questo è strano. Più strano ancora è il fatto che non incontro anima viva. Sembra quasi innaturale. I sensi sono all’erta, capto qualsiasi rumore, i fruscii nel bosco che fiancheggia la via, le gocce d’acqua del piccolo ruscello che si infrangono sulla roccia, il battere le ali e il cinguettare degli uccellini sugli alberi, che fanno, in alcuni tratti, da volta alla strada.
Guardo prudentemente indietro ad ogni tornante, magari un ciclista, o qualche contadino… niente, le finestre delle abitazioni che incontro sono chiuse, sembrano occhi che mi fissano con orbite nere come la notte, vuote. Lo stesso vuoto che sento dentro di me, quando guardando il cronometro lo scorgo fermo. I secondi girano, ma i minuti non si muovono, in un perenne 00:00 inquietante. Un brivido bollente brucia e gela la mia schiena allo stesso tempo. Quant’è che ho superato la pietra che segnala i 2 km da inizio salita? Un’eternità. Eppure la strada dura poco più di tre chilometri. Dovrei essere arrivato. DEVO essere arrivato, urlo a me stesso. E continuo a correre. Continuo a salire.
Il cronometro è sempre fermo, un’ultima occhiata conferma tutte le mie paure, un sorso d’acqua dallo zainetto che porto sulla schiena è piccola consolazione, un misero appiglio di normalità al quale mi aggrappo con tutte le mie forze. Solo coincidenze, mi ripeto… solo coincidenze.
All’improvviso, quasi a destarmi dal torpore onirico che mi attanaglia, un urlo, un verso prorompe nel cielo, alzo lo sguardo un falco, o un altro grande rapace, non so riconoscerlo, disegna ampi cerchi. In quel punto la pendenza è molto elevata, il ritmo di corsa è lento. Il falco si poggia su un ramo di un grosso albero, poco davanti a me. Continuo a correre e a guardarlo, mi sembra di sprofondare, mi muovo ma non lo raggiungo. Le mie paure, improvvisamente scompaiono quando i miei occhi incontrano i suoi. Ancora quel suo grido stridulo, una, due, tre volte, Finnico si sveglia all’improvviso, un ululato esce senza volere dalla mia bocca, qualcosa di animalesco, di primordiale, di dimenticato si impadronisce per qualche istante del mio corpo, sento il cuore che accelera e i sensi che si acuiscono. Il falco mi sembra ora vicinissimo. Ci guardiamo ancora una volta, occhi negli occhi. Se devo essere sincero mi pare che, prima di spiccare il volo, annuisca soddisfatto. Divoro ad ampie falcate quella che mi sembra una interminabile curva, di colpo alzo la testa, quasi destato improvvisamente da un sogno, sono in cima, uno schiaffo di aria fresca lava il mio volto, la mia mente, il mio cuore. Un riflesso incondizionato mi porta a guardare l’orologio che… segna 25’ e pochi secondi. Scrollo il capo incredulo, bevo ancora un sorso e un paio di scooter mi sorpassano rombando.
La discesa verso Finalborgo è un attimo che mi permette di pensare.
Che abbia avuto la mia Grande Visione?
Federico Saccani

venerdì 17 agosto 2012

Conferenza 23/09/12

Bozza locandina... stiamo arrivando!!!!!!!!!!!!!!!!!!

domenica 5 agosto 2012

Primo...













Ieri ho corso. Ho partecipato ad una competizione, la seconda di questa settimana. La manifestazione si è svolta a Varigotti, un posto che mi piace molto, dove ho lavorato parecchio tempo, ho tanti amici, mi trovo sempre molto bene. Queste due gare, quella di Carbuta di domenica scorsa e quella di ieri, erano in programma già da un po’, possiamo definirle un test di verifica, dopo un 2012 travagliato, costellato da una miriade di piccoli infortuni, fastidiosi al punto che, comunque, sono stato lontano dall’asfalto vari mesi.
Perché racconto della gara di ieri? I motivi sono molteplici: in primis, ho superato il test di verifica, nel senso che, dopo aver spinto forte sia domenica scorsa, che durante la settimana con due allenamenti tirati, la gara di Varigotti sarebbe stata un po’ il tornasole della mia condizione, non tanto organica, quella risente della poca corsa invernale, quindi è quella che è, piuttosto di quella fisica, della tenuta muscolo/tendineo/articolare allo stress, e devo dire le cose sono andate ben oltre le più rosee previsioni. Fondamentalmente, però, racconto della gara di ieri perché ho vinto.
Nella mia pluriennale “carriera” sportiva, ed è pluriennale nel vero senso della parola, contando che la mia prima competizione l’ho affrontata nel 1981, a nemmeno 8 anni, ed è veramente sportiva, perché dal Karate, al calcio, al nuoto, alla Savate… ho praticato veramente tantissimi sport (infatti le articolazioni se ne ricordano benissimo… :-)), ho sempre vinto poco, quindi quel poco mi piace ricordarlo. Se vogliamo questo mio scritto può essere considerato “autocelebrativo”, boh, forse si, sta di fatto che non voglio esaltare la mia performance, voglio semplicemente mettere un piccolo segno con l’evidenziatore su una parola del libro che racconta la mia vita sportiva, che se non altro, è rappresentata, soprattutto negli ultimi dieci anni, dal sacrificio; cercato, voluto… assolutamente, non mi ha obbligato nessuno, ma per questo motivo, ancor di più causa di soddisfazione.
La gara è stata presentata di 7 km, saranno poi di meno, circa 4 ad occhio. Di una durezza bestiale, con salite vertiginose, ed una discesa folle, su sterrato (anche piuttosto scivoloso), passaggi impervi sopra Varigotti, con panorami mozzafiato che il respiro corto, il cuore in gola e la vista annebbiata non ti permettono nemmeno di goderne, un caldo ed un umido desertici, come simpatica ciliegina sulla torta. Nutrito il numero dei partenti, non saprei dire, ma si sfiorava senz’altro le cento unità, tra questi molti podisti (soprattutto turisti), alcuni improvvisati, qualche ragazzino, e pochi corridori veri. Veri sul serio. Qualcuno lo conosco, Gilberto, un ragazzo di Finale, ma che corre per l’Atletica Varazze, forte, si allena molto, ha ottimi personali, prima di iniziare il riscaldamento è il mio favorito; poi c’è Mauro, anche lui corre per Varazze, è parte della storia del podismo ligure, un mostro sacro, ora un po’ acciaccato, ma sempre temibile, poi un paio di ragazzi mai visti, atleti che sono in vacanza da queste parti. Uno lo scorgo alla fine del riscaldamento, ha il n°66 sul petto, adesso è lui quello che dò vincente. Un fascio di muscoli, gambe scolpite, squadrate, sguardo concentrato. Sento Finnico (il mio alter ego “demoniaco” che mi accompagna e spesso prende il sopravvento durante le corse) che vuole emergere, lo sento ruggire dentro di me, fatico a controllarlo, le occhiate che rivolgo ai miei “avversari” sono piuttosto eloquenti. Metto la musica nelle orecchie per concentrarmi, parlotto con Simone e Gian, i guerrieri Run&Motion che hanno corso con me, qualche scatto.
Schierati sulla linea del via, un mondo ovattato, attutito nei rumori cala su di me, sento prepotente Finnico, come una fiera che ha annusato sangue, farsi largo nel mio Io, questa volta non combatto per trattenerlo, lo lascio uscire e travolgere la mia mente con un urlo selvaggio. Il via giunge quasi come una liberazione, se deve essere battaglia, deve esserlo da subito.
Senza rispettare nessuna strategia e nessun benché minimo senso logico parto subito davanti. E ci rimarrò fino alla fine. Il primo pezzo, su asfalto è pianeggiante, sono poche centinaia di metri, dove sento il respiro degli altri atleti ed il rumore dei loro passi, poi inizia la salita. Alla primo tornante sono già solo, sterrato, ciottolato e un po’ di asfalto si susseguono, ma i miei occhi, o quelli di Finnico, vedono solo le frecce bianche disegnate a terra che indicano la via. La strada è più dura del previsto, il mio corpo rantola subendo uno sforzo che una parte di me ritiene insopportabile, mentre un’altra parte gode e ringrazia per la prova a cui la sto sottoponendo.
Sento qualche parola del pubblico sul percorso, chiaramente non la capisco, grugnisco in segno di risposta.
Arrivo alla discesa, mi lancio a tutta, noncurante dei cartelli di pericolo e delle raccomandazioni prima della partenza. In effetti è brutta, ma mi permette di respirare, quindi mi piace. Rientro sull’asfalto, sono sempre da solo, penso ormai di essere arrivato, quando, malefico scherzo del destino, ancora sterrato, ancora salita, dei gradoni allucinanti, i quadricipiti urlano, i glutei chiedono perdono. Ma non mollo. Mi lancio sull’ultima parte del percorso, ancora discesa, ma i rumori di Varigotti ora sono vicini. Un paio di urli per far scansare escursionisti dal sentiero, un’ultima scalinata e finalmente asfalto… come un razzo mi getto sulla parte finale del percorso, entro nel centro di Varigotti, sempre solo. Vedo gli uomini dell’organizzazione, sento i loro applausi e i loro complimenti, Finnico rientra e gli ultimi 50 metri sono solo di Federico. Da solo.
Taglio il traguardo con un semplice cenno, cerco Paride con lo sguardo, lui mi schiaccia l’occhio soddisfatto, l’organizzazione mi sbatte in mano il premio, ironia della sorte una cassa colma di bottiglie di vini di ogni tipo… dovevano saperlo che non bevo. Il numero 66 arriva secondo dopo un paio di minuti. subito dietro di lui arriva Gilberto. Poi gli altri. Anche Simone e Gian fanno un’ottima gara.
Mi godo questa vittoria. Cosa mi rimane? Beh, qualche piccola considerazione devo pur farla. Quest’anno ho corso 4 gare, tutte brevi (max 11,5 km) e tutte con poco allenamento, sono arrivato 5°, 4°, 2° e 1°. Non ho più voglia di farmi il culo per ore, per poi rimanere fermo dei mesi. Penso che continuerò a correre le gare brevi (se deciderò di correre ancora delle gare), nella Maratona quello che dovevo fare l’ho fatto, penso vada bene così. Il fatto di essere arrivato davanti a Gilberto, mi inorgoglisce parecchio, perché lui è un po’ un mio riferimento, lo considero il più forte di Finale.
Continuerò a dedicare parte dei miei sforzi podistici a Run&Motion, ad insegnare quello che la corsa è per me e che in fondo le gare, pur essendo belle esperienze ed emozioni forti, non sono la parte più importante, ma forse quella meno. Simply Believe.
Federico Saccani

venerdì 3 agosto 2012

La rana nel pozzo

Dedico questa "fiaba" a Run&Motion, a tutti i suoi componenti. La dedico veramente dal cuore. Spero abbiate la voglia e la pazienza di leggerla e di comprenderla nel suo significato più profondo. "I Believe" è nato un po' anche da qui. Io la conobbi tanti anni fa grazie ad un fumetto, e ho sempre, a volte con successo, a volte meno, cercato di farne tesoro e fare in modo che mi indicasse la via da seguire.
Run&Motion è nata per cercare di costruire un qualcosa che nel panorama podistico, a mio avviso, manca. Qualcosa al di fuori dello standard. Qualcosa di speciale. Proviamo a farlo insieme...
Non abbiate paura di fare qualcosa di diverso, non abbiate paura di distinguervi dagli altri.
A voi:

La rana nel pozzo


di Carlos Gonzalez Valles


Un'intera colonia di rane viveva in un pozzo grande e profondo.


Le rane conducevano la propria vita, mantenevano le proprie usanze, cercavano il cibo e gracidavano a più non posso, riempiendo di movimento e di suoni le ombrose profondità di quel pozzo ospitale.


Il loro isolamento dal mondo esterno le proteggeva ed esse vivevano in pace, attente solo ad evitare il secchio che di tanto in tanto qualcuno calava dall'alto per attingere acqua dal pozzo.


Non appena sentivano la carrucola cigolare lanciavano l'allarme, si tuffavano sott'acqua o si aggrappavano alla parete, e aspettavano lì trattenendo il respiro finché il secchio pieno d'acqua non veniva tirato su di nuovo e il pericolo passava.


Una giovane rana, dopo essersi messa al riparo in una di queste occasioni, cominciò a pensare che il secchio, anziché un pericolo, poteva rappresentare un'opportunità.


Lassù in cima riusciva a scorgere un'apertura luminosa come un grande lucernario, il cui aspetto mutava con il giorno e la notte e sulla quale passavano ombre e profili, forme e colori che suggerivano che c'era qualcosa che valeva la pena di conoscere da quella parte del pozzo.


E, soprattutto, c'era quel bel visetto della ragazza dalle trecce d'oro che per un istante ogni giorno si chinava sul parapetto del pozzo per gettare il secchio e tirarlo su in quell'apparizione temuta e attesa.


Tutto ciò andava esplorato.




La giovane rana parlò e tutte le altre la redarguirono aspramente.


Non è mai stato fatto. Sarebbe la rovina della nostra razza. Il cielo ci punirebbe. Saresti persa per sempre. Siamo state fatte per vivere qui e qui possiamo stare bene ed essere felici.


Fuori del pozzo c'è solo desolazione e distruzione.


Non ti azzardare a disobbedire alle leggi dei nostri antenati.


Come può una giovane rana pretendere di saperne più di loro!




La giovane rana attese pazientemente che il secchio fosse calato di nuovo.


Si acquattò nel posto giusto, saltò nel secchio nel momento esatto in cui veniva sollevato e salì con esso tra la meraviglia e l'orrore della comunità degli anfibi.


Il consiglio degli anziani scomunicò la rana fuggitiva e proibì a tutti di parlarne.


La dignità del pozzo andava salvaguardata.




I mesi passarono senza che nessuno la nominasse né la dimenticasse, finché un bel giorno dal parapetto del pozzo si udì un gracidio familiare:


tutte le rane, incuriosite, si radunarono là sotto e videro stagliarsi contro il cielo il noto profilo della rana intraprendente.


Poi al suo fianco apparve un'altra rana e intorno a loro si radunarono sette ranocchietti.


Erano tutti lì a guardare senza azzardarsi a dire nulla, quando la rana parlò da lassù:


« Qui c'è un mondo meraviglioso che vi aspetta. C'è acqua che scorre, non come quella laggiù, e c'è erba verde e tenera che spunta dal terreno, ed è una gioia muovercisi in mezzo, e c'è una gran quantità di piccoli scarabei e insetti gustosi ovunque; ogni giorno si possono mangiare cose diverse.


E poi ci sono tante rane di molti tipi, molte colte e simpatiche, e io ho sposato una di loro e siamo felicissimi, e abbiamo avuto questi sette piccoli che vedete qui con noi.


C'è spazio in abbondanza per tutti voi qui, perché i campi sono immensi al punto che non se ne scorge mai la fine ».




In fondo al pozzo le autorità ufficiali minacciarono la rana che, se fosse tornata giù, sarebbe stata giustiziata per alto tradimento;


ma lei disse che non aveva alcuna intenzione di tornare laggiù, fece gli auguri a tutte e se ne andò con la propria compagna e i sette ranocchietti.




Nelle profondità del pozzo si scatenò un gran tumulto e alcune rane di larghe vedute volevano discutere la proposta, ma le autorità le rimproverarono, proibirono di menzionare lo spiacevole incidente e la vita tornò alla normalità tra le ripide pareti di quell'oscuro pozzo.




La mattina dopo, quando la ragazza dalle trecce d'oro tirò su il secchio dal pozzo, rimase sbalordita nel vedere che era pieno di rane.

mercoledì 1 agosto 2012

Cultura sportiva... e sogni

Un paio di anni fa “conobbi” (virgolettato, perché il nostro è stato un rapporto di amicizia solo virtuale, via pc) una persona su un forum dedicato alle scienze motorie. Questa persona era l’amministratore di quel forum e di tutto il sito che lo conteneva, forum del quale ancora, anche se adesso me ne occupo un po’ meno, sono moderatore, sito del quale sono stato articolista. Il sito si chiama sportbrain.it . La persona in questione si chiama Francesco Martino.
Siamo entrati subito in sintonia, vuoi perché avevamo passioni comuni, dimostrate anche dal percorso universitario simile, ma soprattutto perché entrambi “sognatori”, entrambi con il sogno di dare alle scienze motorie il posto di rilievo che meritano nel panorama universitario e lavorativo italiano (perché nel resto del mondo è già così), entrambi con l’idea che questo passo si potesse fare SOLAMENTE attraverso la diffusione della cultura sportiva; in parole povere attraverso studio, letture, impegno sul campo. Ci abbiamo provato, il progetto sportbrain. it esiste ancora e, anche se marginalmente, ne faccio ancora parte; con Francesco le strade, inevitabilmente, si sono separate, ma la stima ed il rispetto reciproco sono sempre intatti. La strada per ottenere ciò che sognavamo era ed è tuttora durissima, quasi impraticabile, soprattutto a livello politico. Nessun rammarico, abbiamo mosso qualcosa, abbiamo costruito qualcosa; qualcuno sta seguendo le nostre orme, questo mi rende, comunque,soddisfatto del lavoro svolto.
Nel mio piccolo continuo a coltivare questo sogno; soprattutto continuo ad essere convinto che la cultura debba essere il motore primario dei cambiamenti, soprattutto di quelli duraturi, o meglio, di quelli che si vuole fare durare nel tempo.
Stile Libero ci prova, abbandonando i corsi di gruppo, concentrandosi su di un lavoro un pochino più indirizzato sulla persona, cercando di costruire programmi di allenamento che rispettino la fisiologia e la biomeccanica dell’individuo che li richiede, aggiornandosi continuamente, cercando di spiegare le scelte di un esercizio o di un programma piuttosto che un altro; si commettono errori è evidente, siamo ben lungi dall’essere perfetti, ma cerchiamo di percorrere questa strada, quella più difficile.
Con la nascita di ASD Run&Motion il sogno continua, cresce. Avvicinare persone ad una disciplina sportiva, cercare di istruirle su come affrontarla al meglio, questi sono gli obiettivi; i mezzi per raggiungerli sono gli stessi di cui sopra: studio, letture, impegno sul campo. Quindi anche qui, a mio parere, la cultura diventa motore inesauribile di un cambiamento; un cambiamento importante, quello del proprio stile di vita.
Sono molto contento quando vedo che mi si chiedono informazioni sul tipo di scarpe da utilizzare o sul tipo di programma di allenamento più idoneo da seguire, quando vedo qualcuno che timidamente sfoglia le riviste del settore… sono piccoli passi.
Sono importantissimi, fondamentali gli allenamenti, quelli che facciamo di gruppo, dove la didattica dovrebbe essere al primo posto, quelli in solitaria dove cercare di mettere a fuoco ed in pratica ciò che si è imparato, sono belle esperienze le garette, specialmente quelle fatte tutti insieme, senza obiettivi di classifica e/o cronometrici, ma solo per testarsi, divertirsi, sfidarsi, in maniera istintiva, un po’ Zen, senza malizia; ma è altrettanto importante informarsi su quello che si sta facendo, fare domande, studiare.
Ecco, sarei molto felice se, al posto di chiedermi se partecipo o meno ad una gara, mi si chiedesse il titolo di un libro sulla corsa, sull’allenamento, sull’alimentazione… da leggere e studiare.
Credo che in pochi avranno la pazienza di leggere tutto. Sono stato, come al solito, un tantino prolisso. Per quei pochi “simply believe”. Un abbraccio…
Federico Saccani

Conferenza

Domenica 23/09, Palestra Stile Libero e ASD Run&Motion organizzano la conferenza: "Alimentazione, Sport e Salute... per uno stile di vita in movimento", relatore, oltre al sottoscritto, il dott. Luca Speciani, medico e alimentarista, coautore del metodo dieta GIFT e responsabile della rete nazionale di professionisti ad esso collegati (tra cui la dott. sa Marina Toscani). Autore di numerosi libri
di nutrizione e sport (ricordiamo: Dieta GIFT, dieta di segnale; Oltre l'alimentazione dello sportivo, Lo Zen e l'arte della corsa...) è responsabile medico nutrizionale della nazionale di ultramaratoina dal 2009, collaboratore delle risviste Correre e Triathlete. Inoltre sarà l'occasione per presentare la Palestra Stile Libero come punto GIFT, dove trovare consulenza alimentare (con la dott. sa Marina Toscani) ed informazioni sul metodo, nonchè i libri del dott. Speciani e, primi in Liguria, tutta una serie di prodotti alimentari "certificati" GIFT, cioè che rispettano alcune regole importanti ed indispensabili riguardanti la composizione degli stessi (assenza di zuccheri, edulcloranti, conservanti artificiali... per info: http://dietagift.eurosalus.com/notizie/ultime/lieto-evento-in-casa-gift-nasce-la-linea-di-prodotti-consigliati.html ).
23/09/2012 presso sala conferenze de Palazzo Ricci in FinalBorgo, ingresso libero... noi siamo pronti, Finale sarà pronta per il cambiamento? Stay tuned... a breve evento ed ulteriori info ;-)

Carbuta 29/07/12

Domenica pomeriggio gran bella giornata di sport. Evitando inutili commenti sulla gara e sul mio ottimo piazzamento (comunque sono arrivato secondo, e visto come sono conciato e la qualità del primo classificato, sono molto contento), era l'atmosfera generale, la semplicità del luogo e dell'organizzazione, il clima di amicizia e rispetto tra i podisti in competizione che è stato esemplare ed emotivamente coinvolgente.
Run&Motion si è presentata con un gran numero di partecipanti, attivi (che hanno corso) e non (che hanno sostenuto, incitato, tifato e
incoraggiato...!!!), ai quali vanno tutti i miei complimenti e ringraziamenti. Un ringraziamento particolare a Marina e Paride, per l'incondizionato aiuto morale e per il sostegno emotivo.
Warrior Spirit Never Dies!!!
Federico Saccani