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mercoledì 1 giugno 2011

Born to run



Non siamo nati per passeggiare o per stare fermi, siamo nati per correre (o almeno per muoverci, anche alternando cammino e corsa, ma in maniera molto dinamica). La nostra struttura scheletrica, le nostre modalità di consumo energetico, le nostre capacità di smaltire il calore prodotto, sono quelle di un efficientissimo corridore di lunga durata. Un recente articolo comparso su Nature ce ne spiega il perché.

Spesso ci sentiamo dire in palestra (dove è attivo da un paio di anni : “Run&Motion”, un programma di avvicinamento alla corsa) quanto correre sia una innaturale forzatura per il nostro organismo, quanto ci faccia male, quanto sia sport faticoso, dannoso, rischioso. Questa posizione serve, in genere, solo a giustificare una sedentarietà di lunga data, i cui effetti sul sovrappeso e sulla salute talvolta sono spesso più che visibili. Bene, farà piacere a molti sapere che le cose stanno esattamente all'opposto. Chiaramente chi inizia a correre senza la minima preparazione o dopo parecchio tempo di sedentarietà non ricaverà belle sensazioni dalle prime uscite, muscoli doloranti, cuore in gola, respiro affannoso…; ma questo è semplicemente dovuto ad alcuni grossolani errori, facilmente evitabili con un avvicinamento graduale all’attività fisica, non certo ad un rifiuto del corpo alla corsa. Perché il nostro corpo è nato per correre. Questa l'autorevole opinione di due eminenti studiosi americani, Dennis Bramble e Daniel Lieberman, che hanno pubblicato una ricerca di estremo interesse su Nature nel Novembre 2004:

http://www.nature.com/nature/journal/v432/n7015/full/nature03052.html”.

Lo studio ha analizzato in dettaglio le caratteristiche differenziali tra Homo sapiens e i suoi ominidi predecessori, come Homo erectus, Homo habilis, Australopithecus afarensis (la famosa “Lucy”) e le moderne scimmie antropomorfe come lo scimpanzé. Sono state esaminate le peculiarità di Homo sapiens (cioè le nostre) sotto quattro diversi punti di vista:

  • Meccanismi energetici
  • Forze a cui lo scheletro è soggetto
  • Bilanciamento in corsa
  • Termoregolazione

Sotto ciascuno di questi punti di vista emerge con chiarezza come le modificazioni fisiche che differenziano il corpo dell'uomo da quello della scimmia non servano solo a camminare o a stare in piedi come bipedi, ma trovino una piena giustificazione specificamente nell'accompagnare in modo efficiente un'azione di corsa di lunga durata.

L’uomo si è distaccato dagli altri primati modificando tutte le sue abitudini (alimentari, sessuali, sociali e di linguaggio) grazie ad un adattamento corporeo alla corsa di lunga durata. In pratica solo la capacità di correre a lungo ci ha permesso di ”uscire dal gruppo”, cambiando poi, poco per volta, tutto il resto (cervello, apparato digerente, corde vocali).

Dal punto di vista energetico gli uomini, rispetto alle scimmie, dispongono di un buon numero di tendini legati a corti fasci muscolari, in grado di generare forza in modo molto economico. Durante una blanda camminata una struttura muscolare del genere non genera particolari vantaggi, ma quando si corre il risparmio energetico diventa quasi del 50%! Al contrario grandi muscoli con piccoli tendini, come quelli dei primati nostri predecessori, permettono grande potenza, ma con alto consumo energetico. Anche la lunghezza delle gambe è correlata al risparmio energetico (le nostre molto più lunghe), così come un piede più corto e snello e arti superiori più piccoli. Infine la mutazione di un gene ha prodotto nelle gambe un’alta percentuale di fibre rosse (slow-twitch fibers) dalla grande efficienza aerobica. Grazie a questi cambiamenti la macchina-uomo ha potuto affrontare corse di lunga durata in modo energeticamente paragonabile a quadrupedi di grande efficienza, come i cavalli o i cani, pur conservando bipedismo e postura eretta.

Ci sono stati importanti cambiamenti anche dal punto di vista della forza e robustezza dello scheletro, atti a sopportare i notevoli carichi che si sviluppano nella corsa, così come modificazioni importanti a livello muscolare (basti pensare al muscolo gluteo, terribilmente potente nell’uomo e praticamente insignificante nei primati: noi adatti a correre, loro ad arrampicarsi sugli alberi). Importantissimo, infine, lo sviluppo di un forte legamento nucale (tipico dei grandi animali corridori; serve a sopportare le flessioni in avanti della testa nella corsa), assente negli Australopitechi e negli scimpanzé (che evidentemente non avevano ragione di correre). Evidenti anche i cambiamenti avvenuti per facilitare la termoregolazione, come perdita di gran parte del pelo e l’aumento delle ghiandole sudoripare ed un adattamento alla respirazione con la bocca, sotto sforzo, sconosciuta agli scimpanzé.

Volenti o nolenti, dobbiamo ammettere che la corsa fa parte di noi, della nostra storia, del nostro corpo, del nostro equilibrio psicofisico. Se proprio non riusciamo a correre, almeno muoviamoci con costanza, il “sedentario” sta rinunciando a qualcosa che è stato centrale nella sua storia evolutiva. Rinunciare a muoversi è rinunciare ad un pezzo di noi.