Il titolo preso in prestito dal libro di Jon
Krakauer, con tutti i distinguo del caso, ma mi sembrava che potesse calzare.
Racconto questa mia Maremontana, molto
Montana e poco Mare, direi…
Prima di addentrarmi nei particolari di
questa gara (gara?) di corsa (corsa?), vorrei, concedetemelo, ringraziare
alcune persone.
Il primo ringraziamento, un ringraziamento
profondo ed “infinitamente infinito”, va a Marina e Paride che mi hanno
sostenuto in questa avventura, ma che soprattutto mi hanno aspettato al
traguardo, non sapendo nulla delle mie condizioni né di dove fossi finito,
quindi nell’inconsapevolezza e tensione maggiore, facendomi trovare all’arrivo
un sorriso scaldacuore nonostante fossi veramente in condizioni pietose, senza
farmi pesare ciò che ho fatto patire loro in queste ore di delirio
agonistico-podistico-folle, hanno fatto per me un atto di amore profondo,
indimenticabile. Vita. Il secondo ringraziamento, dal cuore va ad Alessandro
Brunetti (a Mela, Nina e Pippi), che c’era (c’erano) e si sentiva (sentivano)
come non mai. Ci sta un “One Love”. Ringrazio il mitico Angelo Ingrao
(complimenti sinceri), abbiamo corso un’ora e mezza spalla a spalla, ed è
sempre un piacere, Paolo Manca perché se non ci fosse bisognerebbe inventarlo,
Ivan Pesce ed Eugenio Ghirelli, sportivi veri, con le palle. Un abbraccio ad
Alberto Ghisellini, atleta unico, che ha patito le mie stesse pene, anzi di
più, ed avrebbe vinto anche oggi, e a Manuela Zunino, Giorgia Ferro (oh fatti
sentire che non ho ancora notizie) e Elena Carpignano, che le palle è come se
le avessero. Stringo fortissimo tutta Run&Motion che ha Whatsappato di
brutto e tutti coloro che mi hanno contattato su fb. Grazie a tutti, amici,
veri amici. Simply Believe.
Ora veniamo alla cronaca…
Indeciso fino all’ultimo se partire o meno,
come se mi sentissi qualcosa, mi reco a Loano, per vedere com’era la
situazione. Solito rituale, cuffie, saltelli ecc… Temperatura mite (dieci
gradi), pioggerellina, una bella atmosfera, festaiola, quindi scaccio i demoni
sussurranti e mi preparo. Decido di vestirmi “mediamente coperto”, con un
antipioggia leggero e la maglia termica, cappellino in testa e calze a
compressione per sostenere i polpacci. Come ogni volta, sono schierato per dire
la mia, la rosa dei partenti è ampia, ci sono parecchi nomi di spicco, ma in
genere la pioggia appiana un po’ i livelli, quindi…
Si parte male subito, il primo tratto è sulla
spiaggia, nessun problema, ma le indicazioni dello staff, di fare un paio di
km, quelli asfaltati, in gruppo dietro bici vengono disattese immediatamente…
il biker selezionato parte a siluro e maciniamo a meno di 4’/km questa intro
“soft”. Ok, si può fare, però vista la giornata una partenza più “prudente”
sarebbe stata una cosa migliore. Inizia la salita e la pioggia aumenta di
intensità, tengo il mio passo, un buon passo, la testa mi suggerisce che son
troppo vestito, tiro su le maniche, ho caldo, ma corro bene, corro facile. Mi
aggrego ad un gruppetto che si assotiglia sempre di più mentre la pendenza
aumenta, rimaniamo in tre e teniamo a vista almeno altre 5 persone davanti a
noi; si alza un vento terribile, freddo, la pioggia diventa nevischio e al
primo rifugio “Pian delle Bosse” transito 16esimo, ma siamo tutti lì.
Encomiabile Ale unici i suoi cani, mi danno carica.
Da questo punto la strada, il sentiero, perde
ogni tipo di definizione… si affonda nel fango fino alle ginocchia, si corre
nella neve, si sta in piedi a fatica. Rallento il ritmo, metto i guanti. La
durezza del tracciato, probabilmente meraviglioso in altre condizioni, aumenta
a dismisura. Scivolo un paio di volte, resto in piedi, ma mi costringo a non
rischiare nulla, un ragazzo portato a braccia si lamenta, non ci penso e vado
avanti. Ancora un paio di scivolate, ormai il fango è dentro le scarpe, le
calze, le mutande, cado di culo un paio di volte, c’è da guadare un paio di
“ruscelli” formati dalla pioggia che ormai è neve, neve vera. Scivolo ancora
una volta, le mani chiaramente nella neve, i piedi a bagno. Mi alzo e riparto,
corsa-camminata aprendo e chiudendo in continuazione le dita che ormai stanno
perdendo sensibilità. Dovrei essere intorno al 20-25 posto, sono solo nel
nulla, ho freddo, sono bagnato fino al midollo e non sento le mani. Bene.
Cosa mi passa per la testa? Le cose più
strampalate… avrò sbagliato percorso, perderò l’uso delle dita e non potrò
diventare osteopata, mi scappa la pipì… e se la facessi sulle mani? Mi vengono
in mente le immagini di un libro sull’alpinismo, con i protagonisti di una
scalata con le dita amputate per il freddo, meglio che mi concentri sulla
corsa, adesso si riesce ad andare abbastanza bene, non veloce, ma sicuri.
Comincio ad incontrare alcune persone, penso che siano dello staff, invece sono
atleti della gara lunga, allo sbando. Ad un certo punto sto superando un
gruppo, li sento parlare di ritirarsi, li sento dire che per il rifugio c’è
almeno ancora mezz’ora, corro per scaldarmi, decido di togliere i guanti, ormai
zuppi. Che ridere. Non ci riesco, non riesco ad usare bene le mani. Provo con i
denti, simpatica la sensazione di sentire la presenza del dito tra le fauci, ma
di non provare alcun dolore mentre mordi… comincio a preoccuparmi un po’.
Riesco nell’impresa di sfilare i guanti, soffio a più non posso sulle mani che
sono bianche e spesse, continuo a cercare di muoverle, continuo a superare
gente della gara lunga che si trascina sul percorso.
Una rampa dura e sento delle voci. Sono
arrivato a S. Pietro, il rifugio. Da qui sono 6 km di discesa
“pericolosissima”, così definita dall’organizzazione. Il pensiero è quello di
ritirarmi. Entro, the caldo e stufa a legna. Mi cambio (avevo una maglia
termica di ricambio nello zainetto) e metto i guanti ad asciugare. C’è un sacco
di gente. C’è Ghisellini, il favorito, è praticamente blu (correva in
pantaloncini e maglietta!!!), avvolto in un telo termico. Uno sguardo, un
sorriso d’intesa, due parole.
E’ sorprendente come nella “disavventura” si
faccia amicizia con facilità, è tutto un sostenersi a vicenda, un
incoraggiarsi. Io non riesco a smettere di tremare. Arriva gente conciata male,
assiderati, traumi vari (impressionante il tipo col trauma cranico), il
soccorso fa veramente miracoli (grazie Matteo Orsucci), per alcuni ci vorrà il
trasporto in elicottero in ospedale. Rimango fermo almeno 40 minuti. Voglio
asciugarmi bene. Ho troppo freddo. La gara lunga viene dirottata su quella
corta.
Decido di ripartire, di affrontare
quest’ultima discesa “terribile” e tornare a casa.
Sto bene. Mi sono ripreso alla grande.
Persino quest’ultimo tratto mi sembra meno peggio di come viene descritto, non
è nulla in confronto a quello passato prima. Corro sciolto, supero un sacco di
gente e in “un attimo” sono a Toirano. Il giro del paese è interminabile (ma
quant’è grande Toirano?), ma finalmente taglio il traguardo in credo circa 4
ore o poco più. Non importa. E’ andata benissimo così.
Cosa mi lascia questa Maremontana? Senz’altro
la fatica estrema, la paura e il dolore riescono a trascendere corpo e anima, e
ti rendono in un certo senso “purificato”, quindi in fondo mi sento migliore di
quando sono partito. Fosse stata una bella giornata avrei detto la mia, ma
questo non conta. Però la sicurezza degli atleti (e anche dei volontari, che
poveri disgraziati, pochi, al freddo, all’acqua, alla neve, hanno fatto
veramente miracoli, con un gesto e una parola per tutti) andrebbe messa sempre
al primo posto. A mente fredda, domani, ci penserò su…
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