Il mondo della corsa è senza dubbio copia fedele della realtà
quotidiana. Sconosciuto ai più nella sua complessa organizzazione fatta di
anatomia, fisiologia, biomeccanica, biochimica, scienza dell’allenamento,
tecnica esecutiva, ecc … è comunque patrimonio comune dove tutti, praticanti e
non, amatori ed esperti, tapascioni e sportivi evoluti, pseudo-preparatori e
negozianti senza scrupoli, guru dai mistici saperi e tuttologi dalla non
comprovata fama, mettono parola su qualunque argomento, spesso non avendo la
benché minima cognizione di ciò di cui parlano; la fiera del sentito dire, del
“ho sempre fatto così”, del “l’ho letto su internet” (per i più moderni), del
“lo dice Tizio o Caio” (e giù una sfilza di nomi di podisti di fama, trattati
come amici di vecchia data) oppure il buon vecchio “tu non ti preoccupare e
fidati” che, ammettiamolo, ha sempre il suo perché … Basta aver corso un po’,
guardato qualche video, letto qualche libro (lo so, qui mi sbilancio, beh,
magari non proprio tutto un libro, qualche pagina) e soprattutto, partecipato a
qualche gara (è sufficiente il giro dell’isolato) per avere onniscienza e
dispensare, quasi sussurrando, per non farsi sentire da altri e non farsi
rubare i segreti, consigli, preparazioni, diete, terapie fisioterapiche,
massaggi, protocolli rieducativi, indirizzi utili e così via …
Questo è quanto. Non mi piace, ma ne prendo atto, ma
soprattutto provo a fare diversamente a sfruttare competenza e professionalità
dando quella che è, semplicemente, un’opinione personale,supportata da studi
scientifici, da esperienze vissute e feedback da persone con le quali
collaboro. Un lavoro impegnativo, ma basato su fatti concreti, su bibliografia
seria, su l’essere e non sull’apparire. Ma pur sempre una mia visione del “mondo
corsa”.
Oggi parlerei di uno degli argomenti più spinosi … le scarpe
per correre!!!!
Per parlare di scarpe è necessario un piccolo accenno
all’estremità del nostro corpo che le indossa: sua maestà il piede.
26 ossa (!) di dimensioni e struttura differente permettono
la massima efficienza in quelle che sono le due funzioni evidenti del piede:
funzione statica (sopporta il peso del corpo); funzione dinamica (spostamento
del corpo). L’integrità del piede assicura, dunque, un buon appoggio e una
buona deambulazione.
31 articolazioni (!) e 20 muscoli (!) (tra intrinseci ed
estrinseci) ottimizzano la statica e la dinamica.
La perfetta collaborazione tra tutte queste strutture ha il
fine ultimo di far funzionare al meglio questa porzione del corpo umano così
forte e nel contempo delicata nell’equilibrio che la caratterizza.
L’evoluzione dell’uomo,
attraverso i milioni di anni che l’hanno disegnata, ha plasmato ed integrato
ogni cambiamento funzionale nello schema motorio, passando attraverso
generazioni che hanno affinato l’anatomia attraverso l’utilizzo. Il piede,
nella sua funzione, come già detto, prevalentemente motoria e di sostenimento
del peso del corpo, assolve mirabilmente i suoi compiti anche grazie alle sue
notevoli potenzialità propriocettive (Propriocezione: è definita come il senso di posizione e di movimento degli arti e del corpo
che si ha indipendentemente dalla vista. La si può dividere in senso di
posizione statica degli arti e in senso di movimento degli arti). La forma del
piede è dunque il risultato di tutto questo lavoro evolutivo ed è in stretta
relazione alla sua funzionalità biomeccanica.
I movimenti del piede avvengono su diversi assi:
asse bimalleolare: dorsiflessione e flessione plantare;
asse sagittale del piede: rotazione interna ed esterna (a livello
dell’articolazione di Chopart con intervento più o meno grande dell’interlinea
di Lisfranc);
asse verticale crurale: abduzione e adduzione;
Parlando in maniera più funzionale sarà necessario considerare
un’associazione di questi tre movimenti per realizzare delle combinazioni degli
stessi, l’inversione e l’eversione, che sono i meccanismi produttori dei traumi
alla caviglia:
Inversione: flessione plantare + adduzione + supinazione (rot. int);
Eversione: dorsiflessione + abduzione + pronazione (rot. ext).
Questa minima introduzione biomeccanico/anatomica era dovuta, proprio per
capire quanto complesso sia ciò di cui stiamo parlando; non è questa la sede
per un approfondimento in tal senso, per il quale si rimanda agli appositi
testi.
Torniamo alle scarpe.
A1, A2, A3, A4, A5 … A…iuto!!! La classificazione delle scarpe classica,
quella che prevede da A1 ad A3, un aumento progressivo del peso e della
protezione della scarpa, A4 per “iperpronatori”, modello quindi con supporto
mediale, A5 scarpa da corsa in natura, è ormai piuttosto obsoleta e stantia,
buona solo per sapere più o meno di cosa stiamo parlando, ma con la crescente
specializzazione dell’industria calzaturiera, dove tutti i confini sono andati
sfumando vista una sempre maggiore attenzione del pubblico e
professionalizzazione delle ditte produttrici, penso sia più opportuno
ragionare per “concetti” che per sigle rigidamente confezionate, dove 5 g di
differenza potevano (ingenuamente) differenziare due modelli. Quindi ha senso
parlare di scarpe più o meno protettive, scarpe con supporto mediale, con buon
grip o esasperata leggerezza, scarpe minimali …
Assistiamo quotidianamente ad una rincorsa agli store più “in” per
acquistare l’ultimo modello, la marca di tendenza, la scarpa che “ammortizza di
più”, quella col differenziale minore ecc …
senza minimamente pensare a quello che deve andare dentro la scarpa, il
nostro povero piede che, sinceramente, della scarpa ne farebbe volentieri a
meno.
Gli studi antropologici legati al cammino evolutivo dell’uomo hanno fatto
sì che il mondo della corsa “Barefoot” (piede nudo) si stia inserendo sempre
più profondamente nella vita podistica dei nostri tempi. Molti per moda, molti
per cognizione di causa si avvicinano (giustamente, diciamo noi), al concetto
di motricità naturale. Negli ultimi anni sono stati pubblicati numerosi studi
riguardanti le differenze tra la deambulazione con calzatura tradizionale e
“Barefoot”: la scarpa può costringere la volta plantare a modificare la
meccanica deambulatoria, correre a piedi nudi favorisce l’appoggio dell’avampiede
rispetto al retropiede, indossando calzature il consumo di ossigeno è maggiore,
il rendimento fisiologico è maggiore con la scarpa minimale.
L’uomo è nato per correre a piedi nudi. Su questo non ci piove. Non è
pensabile un ritorno ad una tale motricità, ma esiste la possibilità di
introdurre un “Barefoot” con calzatura specifica (possiamo chiamarlo Barefoot
Oriented) dove il meccanismo motorio si avvicina molto a quello naturale e
soddisfa, parallelamente, tutte le esigenze della quotidianità moderna (terreni
non naturali, protezione igienica e meccanica, coerenza sociale …).
La locomozione umana è frutto di circa 6 milioni di anni di evoluzione
bipede. Durante questo lungo periodo evolutivo, il piede e il suo rapporto con
il suolo hanno avuto un ruolo fondamentale e il piede è sempre stato nudo. Il
corpo umano NON può essersi adattato biomeccanicamente alla scarpa ginnica,
tutt’al più può esservi abituato. Nella sua evoluzione, il bipede terrestre ha
passato con le scarpe solo lo 0,0001% del tempo (!!!!) (dato ottenuto
rapportando il tempo evoluzionistico con quello trascorso dalla nascita della
scarpa moderna). Questa assunzione rende normale il miglioramento metabolico e
meccanico di cui parlavamo prima.
Senza scendere nei particolari, i risultati di moderne analisi in tal senso
sono strabilianti: camminare e correre a “Barefoot Oriented” è anche in grado
di interagire col sistema posturale e di creare condizioni favorenti la
prevenzione degli infortuni.
La natura vince sempre. Recenti studi hanno verificato come un
“ri-adattamento” al “Barefoot”, dopo anni di scarpa ginnica, sia veloce e come
il corpo umano sfrutti in tempi brevissimi tutti i vantaggi di efficienza
meccanica e riduzione del costo energetico.
La diffusione del fenomeno “Barefoot” trova, dunque, ampio riscontro
scientifico.
Detto ciò, avete una piccola idea di come sia il mio pensiero. Quando parlo
ai miei ragazzi di “sentire” con i piedi, parlo proprio di quello, di
quell’ancestrale ricordo di quando eravamo “Homo” e di come una scarpa troppo
pesante e “protettiva” (anche se abbiamo dimostrato che poi forse non è proprio
così, forse le scarpe protettive e pesanti generano più infortuni di quelle più
minimali) possa privarci di informazioni propriocettive che il piede è in grado
di darci e che sono utilissime alla corsa. Vedere quegli “scarponi” con suola
spessa tre dita mi incute un po’ di timore, vedere che vengono venduti a tutti,
indiscriminatamente, senza analisi posturali, senza parlare di propriocezione,
senza controlli dell’appoggio del piede, senza aver visto la meccanica della
corsa, ancora di più. Vedere che spesso vengono vendute scarpe perché sono le
uniche rimaste in negozio, invece, mi mette tristezza.
Forse il “Barefoot” non sarà proprio per tutti, come qualcuno sostiene, ma
credo che in commercio si possano trovare compromessi adatti a ogni tipologia
di sportivo. Bisogna provare, bisogna fare ciò che è nelle nostre corde,
bisogna soprattutto imparare ad ascoltarsi e a lavorare con il proprio corpo,
che è il nostro primo alleato.
Un’ultima cosa. Questo pezzo è già stato pubblicato in altri siti, se intendete utilizzarlo od utilizzare parte di questo “articolo”, dovete
citare la fonte e l’autore.
Grazie a chi ha avuto la forza e la pazienza di arrivare fino in fondo.
Un abbraccio.
SimplyBelieve
Federico Saccani (io mi firmo sempre ;-) )
Bibliografia:
IEMO - 2° anno appunti del corso di Osteopatia Generale, Prof. Ghisellini
ELAV Magazine - n°1 2014
IL PiEDE DELLO SPORTIVO - Luca De Ponti - ed. Correre
OSTEOPATIA l'arto inferiore - Maurice Audouard - ed. Marrapese
.. Wow, grazie mille. purtroppo ho 28 anni e mi sono reso conto in questi giorni di quanto sia importante l'utilizzo del piede. Sto cercando di riprendere confidenza con questo arto, dirò solo che è più difficile di quanto immaginassi.
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