Questa è una storia.
La storia di Topaccio, Pigogiu, Morsa, Pulici, Alpino, Budda
… e di molti come loro.
Una storia iniziata in un cortile troppi anni fa per
ricordare quanti, una storia di amicizia, di pallone, di corse, di litigate, di
domeniche pomeriggio.
Una storia che dedico a chi avrà la pazienza di leggere fino
in fondo, che poi sono le stesse persone che hanno il coraggio di vivere fino
in fondo, quelle di cui parlerò.
Il colore predominante è quello un po’
sbiadito delle foto anni ’70, dove sembra che tutto sia ricoperto da una patina
arancio-giallastra, le tinte pastello delle automobili, poche per la verità,
fanno da decorazione ai primi veri condomini, un gradino sopra le “case
popolari” nella gerarchia che nella mente del bambino divide il povero dal
ricco, palazzoni racchiudenti un
microcosmo di solidarietà, rispetto, antipatia, cameratismo, allegria e
tristezza; ebbene si, tutto il contrario di tutto, una vera contrapposizione di
schieramenti e di “formae mentis”,
fedele specchio della vita e vitalità politica di quegli anni, pesanti, di
piombo.
Ed è proprio negli spazi che questi condomini
delimitano, i cortili, che la nostra storia, ma anche la storia di molti di noi,
ha inizio. Le porte non si chiudevano a chiave, o forse si cominciava a farlo,
la TV passava dal bianco e nero al colore, ma per cambiare canale dovevi
alzarti dalla poltrona, la vita di un bambino era scandita dai tempi automatici
di una fabbrica, di una catena di montaggio alla quale dovevi ben presto
abituarti, sveglia, scuola, pranzo, compiti, cortile. Eccolo lì. Il cortile …
Mi piacciono le storie dove il protagonista
descrive la sua giovinezza, a volte realtà romanzata, a volte fantasia, ma ci
avete fatto caso? Tutti o quasi provengono dal quartiere più povero, più
disagiato, con il più alto tasso di delinquenza ecc … forse fa “figo”, dimostra
come si è stati in grado di superare le avversità che, ingiustamente, la vita
ci ha messo davanti, o forse tenta di commuovere il lato sensibile del lettore,
non so. A me fa sorridere. Per quel che mi ricordo io eravamo tutti nella
stessa barca. Palazzone, cortile, auto scassata (rigorosamente Fiat), un sacco
di amici, alcuni stavano un po’ peggio, altri un po’ meglio, ma erano discorsi
da grandi. A noi non interessava, eravamo tutti uguali, con le toppe ovali
sulle tute blu con le righe bianche di lato (due righe, mica tre come l’Adidas),
con delle testate di capelli ingovernabili, con i genitori che gridavano dalla
finestra, quando era ora di cena, di rientrare a casa. Non c’era lo sfigato del
gruppo. Eravamo tutti sfigati, quelli che adesso sarebbero molto più
televisivamente “Losers”, ecco, quelli lì, noi, figli di un’Italia operaia che
ci voleva operai, che si dovrà ricredere davanti all’entusiasmo, alla voglia di
ridere, di divertirsi, di giocare, ma soprattutto davanti al nostro modo di
essere diretti, senza timori, quasi irriverenti, liberi.
Eravamo liberi, quel cortile era il nostro
mondo che, con regole non scritte, ma conosciute da tutti, governavamo con il
sorriso sulle labbra.
Due maglie in terra da una parte, un albero e
una macchina posteggiata dall’altra erano le porte … il campo era fatto, non c’era
un appuntamento vero e proprio, più o meno l’ora era quella (anche perché gli
orologi, in genere, venivano regalati alla comunione, ed erano troppo belli o
troppo pacchiani per portarli in giro, quindi non si mettevano) i primi che
arrivavano iniziavano a giocare, poi alla spicciolata si aggiungevano gli
altri. Tutto il pomeriggio. Tutti i giorni. “E’ goal, è fuori, è entrata,
questo è fallo … “ l’atmosfera perennemente tesa, sul filo del rasoio, ogni tanto
degenerava, ma sempre con una sorta di signorilità, anche quando ci si prendeva
a pugni in faccia. Durava il tempo della scazzottata, il tempo di venire divisi
e poi l’incanto riprendeva, come se nulla fosse successo.
Forse Topaccio, Pigogiu, Morsa, Pulici,
Alpino, Budda e gli altri usavano inconsapevolmente una forma di magia,
recitavano un incantesimo in grado di fermare il tempo, di congelare l’istante
fino a renderlo eterno, fino a far si che l’amicizia che li legava trascendesse
ogni tipo di diversità: fisica, di provenienza, di ceto sociale, di età. Erano
una cosa sola. Come non pensarci prima. Quello che affannosamente rincorriamo
adesso, era già nostro, l’abbiamo perso, chi più, chi meno, chi lo cerca, chi l’ha
dimenticato, forse chi non l’ha mai avuto. La magia del “Qui e Ora”, quell’essere
presenti in ciò che si fa con tutto se stessi, godere fino all’ultimo attimo in
un orgasmo di vita che è “La Vita” stessa.
Il segreto era il cortile, un pozzo di
ancestrale forza che scaturiva dall’amore di chi lo viveva, di chi lo rendeva
campo di battaglia, stadio della finale dei mondiali, corsia di ospedale,
sottomarino da combattimento, un castello stregato … Una meraviglia di primitiva
energia.
Chiudo gli occhi e penso a quanto sono stato
fortunato. Siamo stati fortunati. Non avendo nulla, non ci mancava nulla. Un
insegnamento che non dimentico, che non voglio dimenticare, che provo a
trasportare in ciò che quotidianamente faccio. Mettere tutto quello che si ha
in ciò che si sta facendo, vivere ciò che si sta facendo, lavoro o studio che
sia, senza timore di doverlo fare per compiacere qualcun altro, o senza
desiderio di volerlo fare per far piacere a qualcun altro o, peggio, per
piacere agli altri. Questa è un po’ la tendenza: il gusto di esplorare se
stessi, per se stessi, è stato sostituito dalla smania di dover essere apprezzati,
la genuinità di una proposta viene soverchiata dall’opportunità di ricavarne approvazione
sociale.
Sono sicuro che Topaccio, Pigogiu, Morsa, Pulici,
Apino, Budda e gli altri, invece, abbiano conservato quella scintilla che
animava le loro corse in cortile. Senza dubbio. Hanno conservato il cortile
nella porzione più profonda della loro essenza. Se incontrano un cartello con
scritto “Divieto di gioco del pallone”, beh, tra gli applausi del condominio,
lo tirano via, come è sempre stato; “Qui e Ora”, spontanei, veri, reali, fatti
di carne, muscoli, ossa, sangue. Cuore. Cuore. Cuore …
Ho avuto la fortuna di conoscere e fare parte
dei protagonisti di questa storia. Il destino ha reso privilegiato il mio
cammino, permettendomi di incrociare, in
tempi diversi, altre persone che hanno il cortile dentro. Ci si riconosce
subito, uno sguardo, una parola, un sorriso. Alcuni provano ad ingannarti, “gli
ingannatori”, ma basta poco per far cadere loro la maschera. Non ridono. Non
ridono “dall’interno”, una pantomima, una recita.
Noi siamo diversi, abbiamo il sorriso
contagioso, il cuore che palpita, con le lacrime agli occhi teniamo forte un
biglietto con scritto “sono tornato”, ronziamo “Tutti Insieme” rumorosi, pur
rimanendo in silenzio, crediamo in ciò che facciamo e lo facciamo senza
scendere a compromessi, impegnandoci fino in fondo, abbiamo una sensibilità d’animo
che ci permette di apprezzare il grande, ricordando che tutto nasce dal
piccolo, sbagliamo molto e molto spesso, ma ci assumiamo la responsabilità dei
nostri errori, ci commuoviamo davanti ad un quadrupede che forse dobbiamo
salutare, ci abbracciamo stringendoci forte, non ci interessa nulla di quello
che gli altri dicono di noi e, adesso che il granaio è bruciato … possiamo
vedere la luna.
Ringrazio tutti i ragazzi del cortile. Quelli
di allora e quelli di oggi.
Simply Believe.
Fede
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