Alzarsi presto alla mattina non mi ha mai creato problemi, anzi. Il passare degli anni lascia un segno anche qui, butterei la sveglia dalla finestra, quelle immonde cifre rosso acceso che indicano 5:03 mi rimangono impresse a fuoco nella mente fino a che non raggiungo il bagno. L’acqua gelida spegne l’incendio cremisi che mi ha dilaniato pochi minuti prima, mi muovo come un automa, riscopro movimenti e gesti, ripetuti per anni, che sono anni che non ripeto più, ma rimangono fluidi, in rapida successione mi conducono al momento sacro della vestizione, come un cavaliere che indossa l’armatura prima di uno scontro. Quanto tempo è passato? Sembrano secoli dall’ultima corsa a digiuno, dall’ultima corsa prima dell’alba. Ma questa è un’occasione importante, oggi si prova un’impresa.
Mentre aggiusto la chiusura delle scarpe mi accorgo di non percepire alcun rumore, il silenzio è totale, i cani non mi degnano di uno sguardo e continuano a dormire profondamente. Una volta capito che non sono loro le vittime della mia follia mattutina si lasciano avvolgere dal caldo abbraccio dei loro cuscini, abbandonandosi profondamente a Morfeo. Chissà cosa sognano? Mi chiedo mentre riempio il CamelBak con dell’acqua. Non faccio tempo a rispondermi che un tuono scuote la mia coscienza. Bene… devo correre in salita, al buio, a digiuno e potrebbe piovere. La giornata parte con i migliori auspici. Almeno non soffrirò il caldo.
Esco in silenzio, respiro l’aria frizzante del mattino a pieni polmoni, quasi volessi farne scorta per i momenti successivi e decido di partire, così, senza troppo riscaldamento, senza troppe preoccupazioni. I primi passi sono morse che sgretolano le cosce, ne ero già consapevole, me lo aspettavo, ma nonostante ciò è fastidioso comunque; non dura, però, nemmeno il tempo di preoccuparsene che già l’emozione del movimento contagia ogni mia cellula e baldanzoso mi avvio verso l’agognata salita.
Una decina di chilometri di ascesa infernale, da solo con i miei pensieri, con il mio alter ego brutale (Finnico), con un po’ d’acqua nello zaino; un rituale di purificazione che passa da una severa punizione corporale.
I passi sono sicuri, comincio a sudare nonostante il fresco, comincio a respirare più corto, più veloce, il cuore accelera il suo battito e come un rullante della batteria prova a scandire il ritmo della mia corsa. I ruggiti del mio corpo sono un misto di dolore e eccitazione, di sofferenza e gioia, il tempo inesorabile avanza e con lui avanza anche la mia scalata, un passo dopo l’altro, fino alla fine, fino alla cima. Bevo poco, quasi più per convincermi della mia presenza che per vera e propria sete. Sento dei passi, veloci e potenti; passi che scuotono l’asfalto, mi volto ma non vedo nessuno. Scrollo il capo, sarà la deplezione di zuccheri, mi dico, sento Finnico tranquillo e non mi preoccupo quando… ancora passi, ancora veloci, ancora potenti. Sento il cuore accelerare, il sudore, copioso dalla fronte, diventa una cascata ghiacciata. Il mio istinto mi suggerisce di stare tranquillo, il mio raziocinio mi dice di avere paura. Strano. Paradossale anche questo.
Continuo la corsa, manca poco, la strada la conosco. Posso farcela. Provo ad aumentare il ritmo quando ombre fatue si affiancano alla mia. Questa volta non devo neanche voltarmi per capire che non c’è nessuno. Sono sbigottito, frastornato, ma continuo a correre, è l’unica cosa che posso fare. Sento respiri affannati che si confondono col mio, battiti di cuore che si confondono col mio, mi rendo conto di non essere solo, anche se chi mi accompagna non è “materialmente” lì con me. Cerco di aprire tutti i miei sensi e di immergermi in ciò che mi circonda, lascio libero Finnico, ho bisogno della sua bestialità adesso, mi offro completamente alla natura e agli spiriti che la abitano. Gli spiriti che mi hanno concesso l’onore di correre insieme a loro. A questo punto la sensazione di libertà è assoluta, Non ho più vincoli, sono più animale che uomo, un lupo selvaggio che si lascia travolgere dall’immensa energia che lo abbraccia e lo sostiene. Mi perdo, ancora consapevole di me stesso, ma incerto sul fatto di esistere. Sono nel qui e ora, perfetto in ogni movimento, libero come mai prima, vivo. Vivo!
Le gocce di pioggia iniziano a cadere violente, grandi, fanno quasi male a contatto sulla pelle. Mi riportano in un istante, durato un infinito, alla realtà. Il pensiero mi porta subito a guardarmi le braccia, l’orologio, forse in cerca di un pallido barlume di vita reale. Bevo un sorso e con pochi agili passi raggiungo la vetta. Distendo le braccia verso l’alto, gli indici protesi al cielo, ma non è un segno di vittoria, è il ringraziamento a tutto ciò che mi circonda. Alle nubi plumbee, alle gocce di pioggia, alla natura incontaminata.
Inizio la discesa, corro piano per paura di scivolare, ma anche per regalarmi qualche minuto in più per pensare a quanto accaduto. Urlo di gioia. Un urlo che ricorda un ululato. Entro pochi giorni dovrò prendere la mia decisione. Ne ho parlato qualche giorno fa. Una decisione di quelle che cambia la vita. Ci penso e sorrido, mentre un brivido percorrendo tutta la schiena arriva alle gambe. Martedi 04/09 deciderò.
Urlo di gioia. Un urlo che sembra sempre più un ululato…
Federico Saccani
Certo, lo spirito che si faceva sentire era quello della sete.
RispondiEliminaCon il camelbak in spalla non era poi così faticoso bere.
Comunque una bella seduta.
Ne ho fatto qualcuna simile più di una volta, compresi gli spiriti della sete.
Una visione "limitata" ed esclusivamente materiale. Uso altri occhi per vedere e altre orecchie per sentire. A casa avevo il camelbak (1,5 l) vuoto... sarà stata sete?
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