… Il foglio bianco proprio non ne voleva sapere. Era lì. Lo
fissava, quasi con aria di sfida, rendendo ancora più improbabile la stesura di
qualche riga, quantomeno grammaticalmente corretta.
Eppure i rituali erano stati ineccepibili: allenamento mattutino,
sana alimentazione, passeggiata defaticante, pensieri positivi, sorriso alla
vita; generalmente la penna avrebbe preso vita da sola e trasformato in
racconto tutte le idee, tutta la confusione esplosiva presente nel suo
cervello.
Uscire. L’unica soluzione possibile. Staccare la spina ed
uscire; una boccata d’aria fresca non poteva che fare bene.
La strada corre silenziosa sotto le scarpe, i rumori di
fondo, attutiti dal berretto calato fin quasi sugli occhi, sono piacevoli
compagni di viaggio, la luce crepuscolare emana deboli bagliori cremisi,
facendo sperare in una giornata soleggiata l’indomani. I pensieri cercano
ordine in testa, sperando in un’ ispirazione che tarda ad arrivare.
Un suono, forse il Bipbipbip del telefono, ma non c’è tempo
di reagire. Il colpo arriva inaspettato, sorprendente, efficace. Non è
doloroso, ma in un attimo si ritrova schiena a terra, senza fiato.
“Chi sei, chi sei, chi sei…” mille voci si inseguono,
bisbigli inquietanti, risate raccapriccianti. Il vecchio con il bastone lo
squadra, sembra sorpreso di vederlo.
Il posto senza nome si mostra per quello che è. Un viaggio
verso se stessi. Dentro se stessi. Non si può andare via, non si può spiegare,
bisogna viverlo. “Chi sei, cosa cerchi, chi sei, cosa cerchi…” ancora bisbigli,
ancora voci, ancora paura. Si, adesso ha paura.
Poi un pensiero, una visione. Occhi. Occhi che guardano.
Neri. Neri come la notte, profondi come il mare. Un’ancora di salvezza, una
scintilla di vita, una luce che riscalda il cuore. E si aggrappa a quella
visione. E si aggrappa a quel pensiero, con tutta la forza, con tutto il
coraggio, con tutto l’amore.
Bipbipbip… il trillo che annuncia un messaggio sul
telefonino penetra dolorosamente nel cervello, la luce della lampada definisce
i contorni dello studio, della scrivania, del foglio. Già il foglio.
La penna comincia a scorrere fluida, le parole, una dopo
l’altra, costruiscono un viaggio. Verso se stessi, dentro se stessi. Appena
un’occhiata al telefonino… “Amore Mio” il messaggio, “Amore Mio” la risposta.
Un sorriso incornicia il volto, un pensiero, fisso,
costante, rende viva la sua mente. Sempre. E il racconto prende vita…
Federico Saccani
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